Vai al contenuto principale

“Mindfulness è essere consapevoli di ciò che accade, mentre accade, con intenzione, nel momento presente, e senza giudizio.”

– Jon Kabat-Zinn


Chi si avvicina per la prima volta alla mindfulness spesso si imbatte in frasi come “vivere il qui e ora”, “essere presenti a sé stessi”, “coltivare la consapevolezza”. Sono espressioni potenti, evocative, poetiche persino. Ma per chi è alle prime armi possono risultare astratte. Come si fa, concretamente, a “vivere il momento presente”? Che cosa significa davvero “consapevolezza”? E soprattutto... da dove si comincia?


La mindfulness è (prima di tutto) un allenamento mentale

Al di là delle definizioni affascinanti, la mindfulness è, nella sua essenza più concreta, una pratica di addestramento dell’attenzione. Sì, proprio attenzione: quella facoltà mentale che ci permette di orientare la mente verso qualcosa, di restarci, di notare quando ce ne allontaniamo e di riportarla gentilmente indietro. Il cuore della pratica mindfulness è proprio questo ciclo:

  1. Scelgo di portare attenzione a un oggetto (il respiro, una sensazione, un suono);
  2. Mi accorgo che la mente si distrae (perché si distrae sempre, è normale);
  3. Riporto l’attenzione all’oggetto scelto, con gentilezza, senza giudizio;
  4. Ripeto, ogni volta che serve.


Questo semplice schema è il fondamento su cui si costruisce la consapevolezza. Non si tratta di pensare meglio, rilassarsi, sentirsi bene, o spegnere la mente. Si tratta di allenare la mente a tornare, a stare, a osservare. Un po’ come si allenano i muscoli in palestra, qui alleniamo la concentrazione, la presenza e la lucidità mentale.


Attenzione sostenuta, attenzione flessibile, attenzione gentile

Allenare l’attenzione significa rafforzare tre capacità fondamentali:

  1. Sostenere l’attenzione: restare concentrati su ciò che abbiamo scelto.
  2. Accorgersi del vagabondare mentale: notare quando la mente si distrae.
  3. Tornare con gentilezza: senza colpevolizzarci, senza giudicarci.


Ogni volta che riportiamo l’attenzione al respiro, ad esempio, stiamo rafforzando un “muscolo mentale”. Lo facciamo con gentilezza, senza sforzo e senza rigidità. Non c’è un “giusto” o uno “sbagliato”: c’è presenza. Ed è proprio da questa pratica regolare, spesso silenziosa e invisibile, che nasce quel modo nuovo di essere nel mondo che chiamiamo “consapevolezza”.


Consapevolezza come risultato, non come punto di partenza

Uno dei fraintendimenti più comuni è pensare che per praticare mindfulness si debba già essere “consapevoli”, come se fosse uno stato mentale da raggiungere in modo spontaneo o immediato. In realtà, non pratichiamo perché siamo consapevoli: pratichiamo per diventarlo.

La consapevolezza è un risultato, una qualità che emerge dalla pratica costante dell’attenzione.

Con il tempo, diventa più facile:

  1. Notare quando siamo in balia di automatismi e pensieri ricorrenti;
  2. Restare presenti durante una conversazione, un pasto, una camminata;
  3. Riconoscere le emozioni senza farci travolgere;
  4. Fare spazio a ciò che accade dentro e fuori di noi, senza reagire impulsivamente.


Tutto questo non accade perché “decidiamo” di vivere nel presente.

Accade perché ci alleniamo a farlo. Ogni giorno. Un respiro alla volta.


La scienza della mindfulness: cosa cambia nel cervello

Gli effetti della mindfulness non sono solo percepiti, sono misurabili. La neuroscienza ha osservato modifiche strutturali nel cervello dopo appena otto settimane di pratica regolare, come nel protocollo MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction). Uno studio fondamentale in questo campo è stato condotto da Sara Lazar e colleghi presso la Harvard Medical School, pubblicato su Psychiatry Research: Neuroimaging nel 2011.

I risultati sono sorprendenti:

  1. Ispessimento della corteccia prefrontale e della corteccia cingolata anteriore, aree coinvolte nella regolazione delle emozioni, nell’autoconsapevolezza e nella pianificazione.
  2. Incremento del volume dell’ippocampo: legato alla memoria e alla gestione dello stress.
  3. Riduzione dell’attività dell’amigdala: la parte del cervello associata alla paura e alla risposta automatica allo stress.


In altre parole: il cervello si rimodella. Non metaforicamente, ma fisiologicamente! È come se facessimo “brain building”: esattamente come l’attività fisica modifica la struttura dei muscoli, la pratica mindfulness modifica alcune strutture cerebrali. E come in palestra, non succede tutto in un giorno. Ma succede.

Ecco perché ha senso parlare di palestra interiore. Non è solo una metafora: è un dato biologico.


In sintesi:

  1. La mindfulness non è uno stato mistico, ma un addestramento mentale concreto.
  2. È pratica di attenzione, non di pensiero positivo.
  3. È coltivazione quotidiana, non performance.
  4. La consapevolezza non si “ottiene”: emerge, nel tempo, dalla pratica.


E la scienza lo conferma: cambia il modo in cui pensiamo, sentiamo, decidiamo.

Forse il cambiamento più profondo è questo: diventiamo capaci di essere presenti, anche quando sarebbe più comodo fuggire. E a volte, proprio lì, si apre uno spazio nuovo. Uno spazio di scelta, di libertà, di autentica presenza.

Powered by

Logo Promobulls
Area riservata